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Cosa dice l'etichetta della carne su benessere animale e sostenibilità

Cosa dice l'etichetta della carne su benessere animale e sostenibilità
 "Tante informazioni, anche troppe". A Michele Antonio Fino, professore associato di Fondamenti del Diritto europeo nell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, abbiamo chiesto quali dati ricaviamo dalle etichette della carne bovina, suina e pollame
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Il clamore suscitato dal documentario di Giulia Innocenzi "Food for Profit" riporta l'attenzione su come orientare i nostri consumi in modo da influenzare il mercato e di conseguenza gli allevatori. Nello specifico, se non si può, o non si riesce a seguire una dieta vegetariana, come si possono scegliere carni da allevamenti in cui è tutelato il benesere degli animali? Le etichette possono aiutarci in questo senso? La legge di riferimento per l'etichettatura di tutti gli alimenti che sono venduti confezionati, in un imballaggio sigillato, è il regolamento dell'Unione Europea 1169 del 2011. In Italia, il decreto ministeriale del 30 novembre 2022, che sostituisce il decreto del 4 marzo 2011 sulla regolamentazione del Sistema di qualità nazionale zootecnica, a sua volta riferito al regolamento Ue 1974 del 2006 autorizza a inserire sull'etichetta la dicitura che gli alimenti derivano da pratiche virtuose in termini di benessere animale. Pur se c'è il decreto, tuttavia, mancano enti certificatori autorizzati a rilasciare un bollino di qualità e un disciplinare che stabilisca i requisiti per la certificazione. In mancanza di informazioni specifiche sul benessere degli animali negli allevamenti bisogna perciò limitarsi alle etichette attuali e Michele Antonio Fino, professore associato di Fondamenti del Diritto europeo nell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN), aiuta a comprendere quali informazioni ricaviamo dalle etichette attuali.

"Food for Profit", il documentario denuncia sugli allevamenti intensivi



Professore cosa ci dice l'etichetta sulla carne che stiamo comprando?
"Bisogna stabilire una distinzione tra le carni che costituiscono l'ingrediente di un piatto pronto venduto nella nostra distribuzione, oppure i tagli anatomici dell'animale che vengono venduti tali e quali - precisa l'esperto - Mentre per quanto riguarda la carne come ingrediente riceviamo informazioni più scarne, tipicamente solo la razza animale da cui è stata ricavata, per le carni vendute tal quali, di solito in una vaschetta sigillata con la pellicola alimentare, sappiamo la specie animale, il taglio anatomico e soprattutto l'origine dell'animale. Infatti, tutte le etichette alimentari, quindi anche quelle dei prodotti a base di carne, devono riportare lo stabilimento di produzione o di confezionamento".

 

Le etichette forniscono le stesse informazioni per i diversi tipi di carni, per esempio bovine o suine?
"Anche a livello di origine siamo meglio informati per le carni bovine, di cui, secondo un modello creato ai tempi della mucca pazza, riceviamo informazioni sul luogo di nascita, di allevamento e infine di macellazione. Per quanto riguarda le altre carni di animali da allevamento riceviamo informazioni più succinte, ridotte al luogo di allevamento e di macellazione. Così, riguardo all'origine, le informazioni sulla carne bovina risultano più complete di quelle sull'origine delle carni ovicaprine, suine e del pollame".


Cosa guardare, invece, nel bancone della macelleria? Cosa e come deve essere sempre indicato?
"Le carni esposte in un banco macelleria devono essere presentate con cartellini che riferiscono il taglio anatomico e il prezzo al chilogrammo, ma nello stesso spazio della macelleria dovrà trovarsi un documento consultabile da parte del pubblico, che contiene le informazioni riguardanti l'animale, o gli animali, da cui sono stati ricavati i tagli messi in vendita dal macellaio. Questo, in modo del tutto analogo a ciò che abbiamo diritto di trovare in una panetteria, dove il pane che compriamo fresco non riporta una etichetta ma, nello stesso locale, deve trovarsi il cosiddetto libro ingredienti, consultabile da parte di chiunque".

In che modo, a suo parere, si potrebbero migliorare le etichette per dare ai consumatori la possibilità di scegliere tra diverse modalità di allevamento?
"Le etichette alimentari sono già estremamente ricche di informazioni e nel caso dei prodotti confezionati sono in molti casi addirittura affollate di informazioni, con un effetto negativo che consiste nello scoraggiare il consumatore, che di fronte a una mole importante di dati da processare, cerca inconsapevolmente delle scorciatoie. Paradossalmente, ma non troppo, un consumatore di fronte ad etichette che riportano decine di informazioni apparentemente tutte rilevanti, è portato a scegliere in base a un logo, al nome di una azienda che conosce, oppure banalmente solo in base al prezzo".

Quando nella pubblicità sentiamo dire "filiera controllata" cosa significa? Che valore ha?
"Una informazione qual è quella sintetizzata nello slogan 'filiera controllata' rappresenta quel tipo di Green claim contro cui il parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza nello scorso mese di gennaio. C'è davvero da augurarsi che affermazioni come questa, ogni qualvolta non posino su una certificazione da parte di un soggetto terzo indipendente, vengano vietate e conseguentemente represse. In Europa, esistono centinaia di marchi che, per il fenomeno della scorciatoia a cui facevo riferimento prima, sono capaci di orientare i consumi e gli acquisti, ma non sono consistenti in termini di veridicità e corrispondenza a una situazione verificata in qualche modo. Dunque, quando vediamo uno slogan particolarmente attraente sotto il profilo della sostenibilità o della salute, nelle more dell'approvazione della nuova direttiva Green claims, dobbiamo per forza andare a fondo utilizzando le nostre forze. Il suggerimento è di cercare, sulla confezione, se ci sono organismi di certificazione impegnati nell'assicurare che dietro a quella affermazione ci sia anche della sostanza. Se non troviamo nessun ente terzo coinvolto nella certificazione di quella notizia, come diceva Totò, desistiamo".

Acquistare carne bio assicura che ci sia stata maggiore attenzione al benessere degli animali?
"Le norme sono scritte per assicurare degli standard il cui rispetto, naturalmente, dipende dal grado di scrupolosa applicazione delle norme da parte dei soggetti. Per fare un esempio, nessun divieto di rubare, dal tempo dei dieci comandamenti ad oggi, ha impedito che esistessero i ladri. Ciò detto, in termini di standard, l'allevamento biologico assicura condizioni di benessere animale maggiori rispetto alle condizioni di benessere animale standard garantite dalla legislazione che regola l'allevamento convenzionale. La maggiore differenza sta nel fatto che il pollame biologico deve avere la possibilità di razzolare all'aperto, mentre la carne di pollame convenzionale può derivare da animali che non sono mai usciti da un capannone e anzi si sono mossi il meno possibile perché ciò, come è intuibile, massimizza il loro aumento di peso nel minore tempo possibile. Inoltre, le norme per l'allevamento biologico sono più stringenti in termini di medicinali il cui uso è consentito per la cura degli animali e in termini di ingredienti dei mangimi, perché un pollo allevato con metodo biologico deve mangiare mangimi biologici".

Acquistare carni italiane dà qualche garanzia in più?
"Non esiste a livello di normative alcuna differenza nei regolamenti europei per la produzione di carne in un Paese oppure in un altro dell'Unione. Gli stessi trattamenti vietati da noi lo sono in ogni Paese membro, così come le prescrizioni sul benessere animale sono eventualmente implementate in ogni Paese membro nello stesso modo. C'è, invece, una grande differenza per quanto concerne le carni provenienti da fuori l'Unione Europea, perché in quest'ultimo caso si possono davvero trovare standard molto diversi e molto lontani da quelli a cui siamo abituati entro i confini comunitari. Se c'è una differenza in Italia rispetto agli altri paesi Ue, questa riguarda la qualità e la preparazione degli organi di controllo che hanno una secolare tradizione di tutela della salute dei consumatori. Analoga tradizione in termini di personale e compiti sanitari non si trova in tutti i Paesi membri, ma solo in alcuni".

Quale suggerimento si sentirebbe di dare a un consumatore attento, oltre che alla qualità, all'aspetto etico degli allevamenti?
"Un consumatore attento e intelligente, in questo 2024, è un consumatore che innanzitutto bada alla propria dieta e non al singolo alimento. È un consumatore che effettua gli acquisti alimentari su base per lo meno settimanale, senza lasciarsi guidare in maniera univoca dalla pubblicità, o dalla fretta dell'ultimo minuto. Sembra banale, ma programmare e avere in mente un regime alimentare completo, da un lato evita di demonizzare inutilmente questo o quel cibo, dal momento che se un cibo è sul mercato significa che i suoi ingredienti o la sua formulazione sono stati approvati o sono in vendita da almeno 25 anni. D'altro lato, consente di risparmiare e di raggiungere obiettivi di peso e forma ideali per minimizzare il rischio di giorni di vita compromessi da una cattiva alimentazione. La quadratura del cerchio è possibile, purché si adottino comportamenti sistemici orientati ad un equilibrio complessivo, dal momento che quando si parla di alimentazione non ha alcun senso concentrarsi sul singolo alimento, il singolo ingrediente, o su cose addirittura meno importanti quali la mera origine geografica".