Italian Tech

Spazio

Missione Exomars, obiettivo 2028: cercherà tracce di vita sul Pianeta Rosso

Missione Exomars, obiettivo 2028: cercherà tracce di vita sul Pianeta Rosso
Contratto Esa-Thales da 522 milioni per nuovi dispositivi, manutenzione, e preparare la missione che dovrà decollare con un razzo americano tra quattro anni per cercare tracce di vita nel sottosuolo del Pianeta rosso. Oltreoceano però la politica è scettica nel finanziare missioni marziane: anche Mars sample return è in seria difficoltà. L’incognita della missione è l’impegno della Nasa
4 minuti di lettura

Sembrava finita, il 17 marzo 2022, quando l’Agenzia spaziale europea (Esa) sospese la collaborazione con la Russia e il programma Exomars. E invece, grazie alla Nasa, l’Europa punta ancora su Marte. Thales Alenia Space ha firmato un contratto con l’Esa per proseguire le attività che porteranno Rosalind Franklin, rover made in Europe, a esplorare il sottosuolo del Pianeta rosso a caccia di tracce di vita. L’annuncio è della stessa azienda franco-italiana, joint venture tra Thales e Leonardo, che ha siglato un contratto dal valore complessivo di circa 522 milioni di euro per preparare la missione al decollo nel 2028.

Exomars è in ghiacciaia da due anni: rinviata più volte, dal 2018 al 2020, poi slittata causa (anche) pandemia, è stata infine sospesa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Per riprenderla serve sostituire il contributo del Roscosmos (l’Agenzia spaziale russa), che aveva realizzato la piattaforma; trovare un nuovo lanciatore; trovare una soluzione per l’atterraggio (l’ultimo tentativo europeo non era stato fortunato, il lander Schiaparelli si schiantò, nel 2016). Insomma, si attende l’impegno della Nasa, che però non è scontato, anzi.

Ecco il rover di Exomars, la missione che nel 2028 cercherà la vita sul pianeta Rosso

Aggiornare Exomars per il 2028

Ci sarà parecchio lavoro da fare da qui al 2028. Innanzi tutto la manutenzione gli elementi che nel tempo avranno bisogno di essere sistemati, anche in previsione del fatto che per altri 4 anni non si volerà. Bisognerà sostituire alcune parti del rover più sensibili al trascorrere del tempo e rivedere quelli del “carrier”, il satellite che dovrà portare Rosalind Franklin fino a Marte. Rosalind Franklin avrà un nuovo spettrometro a infrarossi (Enfys) per analizzare la composizione delle rocce, costruito in Galles, contributo dell’Agenzia spaziale del Regno Unito, che sostituirà quello russo e che andrà integrato nel rover. Lo strumento di punta di Rosalind Franklin (che, ricordiamolo, è la scienziata che ha scoperto la doppia elica del Dna), è il trapano costruito in Italia da Leonardo, capace di scavare e raccogliere campioni per l’analisi fino a 2 metri di profondità.

L’Italia, con l’Asi, la nostra agenzia spaziale, è il maggiore contribuente, vengono poi Regno Unito e Germania. Thales Alenia Space Italia, come prime contractor industriale (è a capo del consorzio europeo di cui fanno parte Airbus, ArianeGroup, Ohb e Altec) dovrà progettare il modulo di discesa e la piattaforma di atterraggio poiché la piattaforma russa Kazachok, che era già integrata col rover e pronta per essere spedita in Kazakhstan, non sarà più utilizzabile. Ed è qui che dovrebbe inserirsi, con buona speranza, il contributo americano.

 

A bilancio Nasa quasi 50 milioni per Exomars

La Nasa doveva essere, all’inizio, un partner importante nel programma Exomars, ma poi si era sfilata. L’Esa quindi di andare con i russi, che dovevano fornire il vettore di lancio (un razzo Proton ha spinto Exomars 2016, il satellite Tgo ancora operativo e il lander Schiaparelli, andatosene sul più bello) e la piattaforma con strumenti scientifici. Adesso l’Esa è tornata quindi a rivolgersi alla Nasa con una serie di richieste. Le riporta la Nasa stessa nella proposta di budget del presidente al Congresso, un documento reso pubblico a marzo: “...l’Esa ha spostato il lancio al 2028 e chiede che, in aggiunta allo spettrometro di massa Moma, la Nasa fornisca il veicolo di lancio, i motori per la discesa del modulo di atterraggio, unità di riscaldamento a radioisotopi e il supporto di ingegneri di sistema per la missione”.

Il Moma, uno spettrometro di massa per indagare la composizione dei materiali, era uno strumento già previsto come contributo Nasa. Che ora quindi dovrebbe fornire anche i razzi per frenare la discesa (gli americani sono, l’autorità indiscussa quando si tratta di atterrare su Marte), unità riscaldanti a radioisotopi per il nuovo lander (emettono calore dal decadimento radioattivo del plutonio per salvaguardare gli strumenti dalle fredde notti marziane) e questo imporrebbe un lancio dagli Usa perché questi dispositivi radioattivi non possono essere esportati.

Le straordinarie foto scattate dal drone Ingenuity su Marte, preziose per le missioni future

L'espressione che si trovava nel budget 2024 era "Nasa may contribute" (“la Nasa potrebbe contribuire”), ora è "Nasa will contribute" (contribuirà), in quell’indicativo assertivo c'è tutta la speranza, per ora. Perché adesso bisogna metterci i soldi. Nel “bilancio preventivo” 2025 il presidente Usa chiede per la Nasa 49,2 milioni di euro. A questi andrà aggiunto però il servizio di lancio da finanziare nell’anno del decollo ma, ipotizzando un vettore come Falcon Heavy di SpaceX, vanno aggiunti altri 150 milioni.

 

Sarà il Congresso a dover approvare gli stanziamenti. Un anno fa, quando il budget 2024 era ancora da approvare, la potentissima Commissione della Camera sugli stanziamenti aveva dato indicazione di non finanziare Exomars. Potrebbero cambiare idea, specialmente con un Parlamento rinnovato, oppure no. In fondo all’orizzonte dell’esplorazione spaziale sta sorgendo la Luna, non Marte. In più c’è la questione Mars sample return.

 

La Nasa con l’acqua alla gola

È un obiettivo molto ambizioso verso il quale si sono mossi solo i primi passi. Inviare un rover a raccogliere le capsule con i campioni già lasciati al suolo dal robot Perseverance in questi anni; lanciarli in orbita attorno a Marte; acciuffarli con una sonda europea e recapitarceli sul pianerottolo (il deserto dello Utah). Il 15 aprile la Nasa ha annunciato che quei campioni non arriveranno prima del 2040, invece che nel 2033, a causa dei ritardi e dei tagli ai finanziamenti. I costi per Mars sample return sono lievitati, da 4 miliardi di dollari, alla cifra monstre di 10 miliardi (quanto il James Webb space telescope). Proprio il Congresso ha tagliato drasticamente i fondi lo scorso anno: la Nasa aveva richiesto 950 milioni, ne ha ottenuti 483, quasi mezzo miliardo in meno. Bill Nelson, l’amministratore dell’Agenzia spaziale americana, ha dichiarato che è “inaccettabile aspettare così tanto, nella decade del 2040 dovremmo far atterrare astronauti su Marte”.

Quindi oltreoceano si esplorano altre strade. Il programma sarà ridotto all’osso per diventare più economico, ma servirà l’aiuto dell’industria, ha detto Nelson, per potersi sbrigare. Già, perché anche la Cina vuole fare la stessa cosa e ha dichiarato di volerlo fare nel 2030, per far arrivare campioni di suolo marziano (presumibilmente) tre anni dopo, nel 2033. L’Europa, attraverso l’Esa e il suo direttore generale, Josef Aschbacher, si è detta ovviamente disponibile a fornire pieno sostegno e collaborazione nel programma congiunto.

 

Lo scetticismo da parte della politica americana (comprensibile, visti i costi e i ritardi) su Mars sample return è dunque conclamato. In un periodo storico in cui il vero obiettivo a breve termine è la Luna, perché gli Stati Uniti dovrebbero salire su Exomars e investire 200 milioni dei soldi dei contribuenti tra costo del lancio e strumenti? La speranza è che la prospettiva di poter trovare prove di vita aliena nel sottosuolo di Marte, sia sufficiente.