Italian Tech

Beautiful Minds

Francesco Nori, lo scienziato di Google DeepMInd che crea robot capaci di imparare ogni cosa

Francesco Nori, lo scienziato di Google DeepMInd che crea robot capaci di imparare ogni cosa
Si può far fare a un robot qualsiasi cosa? Nori non ha dubbi: "Sì. È vicina la possibilità di avere robot che facciano tutto quello che l'uomo fa"
5 minuti di lettura

"Fra pochi anni avremo una tecnologia in grado di 'clonare' l'intelligenza motoria dell'uomo e di adattarla a ogni cosa".

È italiano lo scienziato che crea robot umanoidi capaci di muoversi in un ambiente, manipolare oggetti, giocare a calcio. È direttore del laboratorio di robotica di Google DeepMind, una delle aziende più all'avanguardia del pianeta, controllata da Alphabet. Applica l'intelligenza artificiale alla robotica. E punta a creare robot con un'intelligenza simile a quella umana, capace di apprendere in modo intuitivo e di fare qualsiasi cosa. Il campo in cui ci muoviamo è quello dell'Artificial General Intelligence (AGI). La generalità è la capacità della macchina di adattarsi e di capire come eseguire un compito in contesti diversi.

 

Lui è Francesco Nori, 48 anni, di Padova, alle spalle una carriera straordinaria all'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova dove ha creato iCub, il primo robot umanoide made in Italy.

Nori con iCub
Nori con iCub 

Poi è arrivata la chiamata - irresistibile - di Google DeepMind a Londra. Oggi è tra i 5 direttori che coordinano tutta la robotica dell'azienda, nata dalla fusione di Google Brain (la parte di AI di Google), e DeepMind, startup di intelligenza artificiale fondata da Demis Hassabis e acquisita da Google nel 2014.

 "Stiamo cercando di comunicare con i robot in modo semplice, esattamente come si fa con ChatGPT o Gemini. Se dico al modello linguistico: crea una frase con tutte le parole che iniziano con la lettera B, lui lo fa. In pratica uso il modo naturale di comunicazione tra due persone. Do al robot la capacità di capire quello che deve fare in maniera intuitiva, offrendogli un testo, un'immagine o un esempio perché apprenda cosa deve fare".

Non si usano più modelli matematici ma si ha un approccio data driven, che permette al robot di auto sviluppare le proprie abilità e capire come muoversi. "Si parte da pochissime assunzioni e si cerca di assumere i dati dall'ambiente oppure di generarli con i sistemi di simulazione. Si dice al robot: devi vincere la partita e lui impara tutto da solo. Impara a coordinare i suoi movimenti, a dribblare, a difendere la porta e a fare goal. Passare dai modelli matematici ai dati significa migliorare di molto la capacità di adattarsi".

Perché insegnare a un robot a giocare a calcio?

"È stato un esercizio accademico, abbiamo avuto una risonanza mediatica enorme, la gente lo ha adorato. Siamo ora sulla copertina di Science Robotics, siamo finiti in un programma televisivo americano. È un test per capire cosa può fare un robot nella vita di tutti i giorni. Ci stiamo focalizzando sulla manipolazione, sulla capacità di prendere degli oggetti e di metterli in una scatola, pulire una stanza, aiutare una persona anziana ad alzarsi dalla sedia, fino agli assemblaggi industriali".

La storia di Nori parte da Padova. Si laurea in quella che allora si chiamava ingegneria informatica, oggi è computer science. Fa un dottorato in un campo teorico, quello dell'automazione, ma per la tesi si occupa di un tema a cavallo tra robotica e neuroscienza. "Avevo fatto uno studio per capire come si organizza il sistema del controllo motorio in alcuni mammiferi. La mia tesi era una specie di vocabolario di 'primitive motorie', ossia di movimenti essenziali che combinati tra loro, potevano creano cose più complesse.

Finita la tesi, Nori conosce Giulio Sandini, professore di bioingegneria e founding director dell'Istituto italiano di Tecnologia (IIT) e Giorgio Metta. 

"Siamo stati tra i primi a essere assunti. Giulio Sandini è stato il mio primo mentore, Giorgio Metta oggi direttore dell'IIT è un mio carissimo amico. Ci siamo ispirati subito ai bambini. Abbiamo iniziato a studiare come sviluppano certe capacità motorie e creato il primo robot umanoide iCub. Gli abbiamo insegnato a toccare le cose, ad appoggiarsi, a usare l'intero corpo per fare movimenti nell'ambiente, a imparare il Tai Chi".

All 'IIT Nori resta 14 anni, segue tantissimi progetti, fa una grande carriera, si innamora del mare. "Genova mi ha rubato il cuore". Poi inaspettata arriva la chiamata da Google DeepMind.

"Ero in aeroporto al ritorno da una conferenza. Mi chiama un amico: "Google DeepMind sta cercando una persona per avviare l'area robotica". Non avevo nessuna intenzione di lasciare IIT, ma ho iniziato a fare una serie di colloqui con l'amministratore delegato, Demis Hassabis e con altri ruoli importanti. Più che a farmi assumere, ero interessato a una conversazione scientifica. Non immaginavo di lasciare Genova ma l'offerta era superiore a ogni mia aspettativa. Mi hanno coccolato, ascoltato. Poi stipendio, benefit e la possibilità di lavorare in un campo cosi affascinante".

Ma si può far fare a un robot qualsiasi cosa? "Sì. È vicina la possibilità di avere robot che facciano tutto quello che l'uomo fa". Poi Nori si ferma e aggiunge: "Non sono cosi naif da pensare che la tecnologia che sto sviluppando venga usata solo per il bene del mondo. Tutte le tecnologie devono fare paura. Pensa al fuoco: è una tecnologia semplice, che può creare danni, può uccidere delle persone, ma abbiamo capito come utilizzarla per il bene. Pensa all'automobile: è pericolosissima, eppure siamo tutti contenti di usarla. Ci siamo dati regole, codici, convenzioni sociali, semafori, strisce, ed è diventata parte della nostra vita"

 

Il tema dell'AI è anche la velocità in cui cresce. "La sua capacità di calcolo è esplosa come nessun'altra tecnologia. L'ordine di grandezza è nella scala del trilione. La tecnologia è migliorata mille miliardi di volte negli ultimi 20 anni. Dove arriveremo? Siamo arrivati a una capacità di calcolo che assomiglia, per ordine di grandezza, a una rete neurale biologica. Non siamo così distanti in termini di capacità computazionali da quello che abbiamo capito del sistema nervoso centrale"

 

Robot che potranno inventare qualsiasi cosa, anche probabilmente ciò che non è stato ancora inventato. "Lo abbiamo visto con i modelli di linguaggio: possiamo creare immagini completamente nuove, improbabili e che non esistono. Ci sarà sempre qualcosa che non gli è stato mai fatto vedere e che lui farà..."

Di lezioni lungo la strada, Nori ne ha imparate tante, ma la principale riguarda l'umiltà. "Quando abbiamo iniziato a studiare l'intelligenza artificiale, pensavamo che il linguaggio fosse il risultato di iun'interazione con l'ambiente, ossia di capire e convenire con l'interlocutore di cosa si sta parlando. In realtà il linguaggio è ancora così per l'uomo, ma abbiamo dimostrato che la statistica delle parole è sufficiente per creare modelli di linguaggio. Bastano esempi infiniti di parole per avere una macchina che produce linguaggio in maniera sensata. Questo è un esercizio molto affascinante perché ci riporta con i piedi per terra, ci fa capire di più di noi stessi. E ci insegna a essere più umili..."

Neo papà, Nori non teme per il futuro personale del figlio ma piuttosto per il mondo in cui vivrà. "Le guerre, l'odio continuo tra varie nazioni, il global warming. Non sono preoccupato dalla tecnologia, ma dalla natura umana".

Sul perché si spinge la tecnologia così oltre, cita l'importanza dell'impatto sulla società. "Google DeepMind ha iniziato inserendo l'intelligenza artificiale nei videogiochi e dimostrando che la tecnologia poteva risolvere problemi complessi, senza conoscere le regole del gioco e imparando nuovi modi di vincere. Dal gioco alla vita. Quelle stesse tecnologie sono state poi applicate per predire le retinopatie o per sviluppare AlphaFold, un programma di intelligenza artificiale che aiuta a predire la struttura tridimensionale delle proteine, che rappresenta una delle grandi sfide della biologia. Predire la struttura tridimensionale delle proteine ci permette una maggior comprensione della salute umana, delle malattie e dell'ambiente. Per farlo, in passato bisognava fare analisi che richiedevano 3-4 anni di lavoro. Oggi tramite l'intelligenza artificiale si fa tutto in un giorno".

Se invece chiedi a Nori la sua motivazione, ti risponde che vive un conflitto interiore. "Qualche anno fa ero in Nuova Zelanda con il gommone in mezzo alla natura e una persona lontanissima dal mio mondo mi ha detto: 'Ma perché lo fai, perché vuoi progredire fino a questo punto?'"

Non lo so. Vivo tra questi due poli. Da un lato ho un profondo interesse per la tecnologia e la conoscenza, dall'altro mi chiedo: dove ci porterà un futuro iper tecnologico? Dovremo semplicemente fermarci e dire siamo contenti cosi?  Abbiamo numerosi nuovi problemi, il global warming, capire come usare la tecnologia per un futuro migliore, evitare di diventare una specie invasiva per il Pianeta...".

Ai giovani innovatori, a chi sviluppa algoritmi e tecnologia consiglia di vedere un documentario. "Si intitola Plug & Pray: racconta la storia di un ricercatore del MIT che alla fine della sua carriera scientifica si guarda indietro e vede che molte delle cose che ha creato sono state usate per applicazioni militari. È un documentario che ti fa riflettere. Chi si dedica allo sviluppo tecnologico dovrebbe aspirare a un uso positivo della tecnologia per aiutare le persone a vivere meglio e non per creare ancora più odio. O ancora più morte. Se come società avessimo sempre agito secondo questi dettami, forse non avremmo creato armi così pericolose... ".

E a tutti noi dice: "Facciamo in modo che la società regoli l'uso delle tecnologie, e ognuno noi contribuisca per diffonderne un uso etico".