L’avvocato di Weinstein: «Così questa sentenza potrà cambiare il processo a Trump»

diViviana Mazza

Aidala: «Ingiustizie ripetute».  L’ex produttore adesso è in ospedale

DALLA NOSTA CORRISPONDENTE 
NEW YORK - Arthur Aidala è l’avvocato di Harvey Weinstein. Ha ottenuto in appello la revoca della condanna a 23 anni di carcere per il suo cliente, trasferito venerdì dal nord dello Stato di New York al carcere di Rikers ma poi subito in ospedale, in attesa di capire se il processo si rifarà. «È un settantaduenne malato», ha detto l’avvocato: problemi di cuore, diabete...Nel trasporto «non l’hanno trattato bene, nemmeno un sorso d’acqua...». C’è anche la possibilità che il caso venga chiuso: «Dipende dalla principale testimone», Mimi Haleyi. «Prima del processo non aveva ricevuto soldi, dopo ne ha avuti molti dall’assicurazione di Harvey, quindi ha meno incentivi», dice Aidala al Corriere nel suo studio a Manhattan. «Se dice al procuratore: “Non voglio riaffrontare tutto questo, per favore”, non vedo come lui possa forzare una presunta vittima di abuso sessuale...». Resta comunque un’altra condanna a 16 anni in California.

L’avvocato di Weinstein: «Così questa sentenza potrà cambiare il processo a Trump»
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Chi è l'avvocato Aidala

Origini siciliane (Bronte), nato a Brooklyn, suo padre gli proibiva di guardare Il Padrino perché non voleva che subisse il fascino della malavita, «romanticizzata nella comunità italo-americana»: Aidala ha seguito le orme dei nonni, uno laureato in Legge nel 1933 «quando non s’era mai sentito che un italoamericano potesse farlo», l’altro giornalista. Dalla scrivania a Midtown, circondato da foto di familiari e amici come il giudice della Corte suprema Antonin Scalia («quasi uno zio»), alle 18 va in onda con il suo podcast: The Arthur Aidala Power Hour.

Il caso Weinstein influenzerà il processo a Trump in corso a New York per i pagamenti a Stormy Daniels?
«La ragione per cui penso che lo influenzerà è che credo che mostrerà al giudice Merchan del processo Trump che la Corte d’appello ha il potere di revocare una condanna anche in un caso di alto profilo come quello di Weinstein. Trump può essere impopolare a Manhattan, dove ha perso con il 13% contro l’87% dei voti, ma a livello nazionale è 50-50. Weinstein non piaceva al 100% e la Corte ha avuto il potere di dire: non è un processo equo, dovete rifare tutto. La Corte sta dicendo a Merchan: “Giudice, segui le regole. Se non lo fai solo perché hai un imputato famoso, revocheremo. E non vuoi che succeda, sarebbe imbarazzante”».
 
La Corte ha contestato l’ampia discrezionalità data alla Procura nel controinterrogatorio, che spinse Weinstein a non testimoniare.
«Il giudice aveva permesso di parlare di quasi 40 cose che Weinstein aveva fatto dai 28 ai 68 anni: un litigio col fratello, insulti a un cameriere...La Corte d’appello ha detto: non si può, vogliamo incoraggiare l’imputato a dire la sua versione, non scoraggiarlo con un numero di prove tale che non possa testimoniare».

E nello stabilire i temi su cui può essere controinterrogato Trump, Merchan sta permettendo tanto?
«Sta permettendo tanto. Ma sono sicuro che sta rivalutando le decisioni sulla base del caso Weinstein. Un editoriale del New York Times sul caso Weinstein parla di “tragedia”, ma secondo me non hanno letto l’opinione dei giudici: la legge era stata cestinata per condannare un essere umano per via della pressione del movimento MeToo. L’altro aspetto è che consentire quattro ulteriori testimoni in un caso che ne prevedeva tre è un pregiudizio contro un cittadino ed è vietato. È stato fatto perché è Weinstein. E la mia paura è che è quello che stanno facendo con Trump sotto alcuni aspetti. E inoltre è intrappolato, non è fuori a fare campagna elettorale...».

La Frank Sinatra room (per il relax) nello studio legale di Arthur Aidala, l’avvocato di Harvey Weinstein

Anche nel caso Trump, il giudice ha consentito altri testimoni non direttamente legati ai pagamenti a Stormy. Un altro presupposto per una possibile revoca?
«Assolutamente. È la prima volta che viene processato un ex e forse futuro presidente. Stanno usando leggi mai usate prima, cercando di trasformare reati minori in crimini e di usare crimini federali per giustificare un procedimento statale: quindi sì, è un abuso del sistema».

Se condannato, andrà in appello?
«Senza dubbio»

E lei sarà l’avvocato?

«Vediamo, vediamo» (dice in italiano).

In America il sistema giudiziario è sotto attacco...
«Perciò questa decisione è importante. I giudici stanno dicendo: le leggi ignorate nel caso Weinstein risalivano al 1901, non si può. Tre su 4 sono donne. Ed è iniziato con una donna italo-americana, Diana Fabi, mia partner, che ha scritto alla Corte d’appello, e la giudice-capo del tempo, Janet DiFiore, italo-americana, ha aperto la porta al caso...».

È donna anche la giudice dell’opinione dissenziente.
«L’ha scritta come fosse una politica, non una giudice. Scalia diceva che i giudici devono interpretare, non creare le leggi. Lei parla di diritti delle donne: non è il suo lavoro… Se Scalia la leggesse si rivolterebbe nella tomba. E Scalia sarebbe inorridito che Weinstein possa uscire libero, ma una volta mi disse: “Le notti in cui dormo meglio sono dopo che ho preso una decisione in cui odio il risultato”. Se lo dice la legge, così dev’essere. Odiava dire che si ha il diritto di bruciare la bandiera americana, ma lo dice la legge».

27 aprile 2024 ( modifica il 28 aprile 2024 | 14:54)