È morto Paul Auster, gigante della letteratura, voce di New York: aveva 77 anni

di CRISTINA TAGLIETTI

Lo scrittore americano era malato di cancro, lo aveva annunciato la moglie Siri Hustvedt su Instagram. Occupò uno spazio che prima non esisteva nella narrativa americana

È morto Paul Auster, gigante della letteratura, voce di New York: aveva 77 anni

Paul Auster, il prolifico scrittore americano autore della «Trilogia di New York», è morto per complicazioni dovute a un cancro ai polmoni: la notizia è stata data dal New York Times. Aveva 77 anni. Auster è morto nella sua casa di Brooklyn.

Prima di «Cancerland», la terra del cancro, come la moglie Siri Hustvedt aveva definito quella zona di dolore e malattia in cui il marito era finito dal dicembre 2022, quando gli era stato diagnosticato un tumore al polmone, Paul Auster aveva avuto modo di conoscere da vicino i rovesci del destino, o del caso, capaci di trasformare un’esistenza in tragedia. «I lutti, gli incidenti, gli incontri, i fiori non colti, i sentieri ignorati decidono per nostro conto», scriveva, raccontando che nulla nella vita lo aveva sconvolto come l’aver assistito alla morte di un ragazzino colpito da un fulmine, quando aveva soltanto quattordici anni.

«Vivere con qualcuno che ha il cancro e viene bombardato con la chemioterapia e l’immunoterapia è un’avventura di vicinanza e separazione — aveva scritto Siri Hustvedt su Instagram annunciando ai lettori e al mondo la malattia del marito, il meno tecnologico degli scrittori contemporanei —. Bisogna essere abbastanza vicini per sentire i trattamenti, snervanti, quasi fossero i tuoi. E abbastanza lontani da poter essere un aiuto efficace. Troppa empatia può rendere una persona inutile. Camminare in equilibrio su questo filo non è sempre facile, certo, ma è il vero lavoro dell’amore».

Chi era Paul Auster

Narratore finissimo che negli anni Ottanta con i romanzi della Trilogia di New York ha creato — e occupato — uno spazio che prima non esisteva nella narrativa americana, Auster ha raccontato nel folgorante memoir L’invenzione della solitudine della morte del padre, ma anche che la nonna paterna aveva assassinato il marito, un segreto tenuto a lungo nascosto e scoperto quasi per caso.

Nel 2022 aveva dovuto affrontare la morte del figlio Daniel, avuto dalla prima moglie, Lydia Davis, anche lei scrittrice, stroncato da una overdose dopo che, a sua volta, aveva perso la sua bambina di dieci mesi per aver ingerito, lasciata incustodita, psicofarmaci ed eroina.

Nato a Newark, nel New Jersey (come l’altro gigante statunitense Philip Roth), il 3 febbraio 1947 da genitori ebrei originari dell’Europa orientale (il nonno paterno era emigrato nel 19001 dalla città ucraina Ivano-Frankivsk), dopo la laurea alla Columbia University Auster trascorse un periodo a Parigi vivendo dei lavori più disparati, lezioni private, saltuarie collaborazioni con giornali, traduzioni di opere dal francese, in una precarietà continuata anche dopo il matrimonio con Lydia Davis e la nascita del primo figlio, Daniel, come racconterà più tardi, nel 1997, in Sbarcare il lunario: «A cavallo dei trent’anni vissi un periodo in cui tutto quello che toccavo si trasformava in un fallimento. Il mio matrimonio si concluse con un divorzio, il mio lavoro di scrittore andò a picco, e mi ritrovai assillato da problemi finanziari».

Le prime opere e il successo

Nel 1974 si stabilisce a New York e pubblica la raccolta di versi Unearth, a cui seguono, tra gli altri, la pièce teatrale Laurel and Hardy go to heaven (1977) e il suo primo testo in prosa, White spaces (1980). Ma è con L’invenzione della solitudine (1982), in cui il ritratto del padre, un uomo «caparbio, opaco, come immune dal mondo», si mescola a un complesso di voci di scrittori e artisti che hanno influenzato la sua voce, che il suo nome si impone in modo decisivo nel panorama letterario statunitense, mentre il successo internazionale arriva con la pubblicazione della Trilogia di New York, che comprende Città di vetro (1985), Fantasmi (1986) e La stanza chiusa (1987). Liberal, impegnato nelle battaglie civili e politiche di sinistra, Auster è stato un grande sostenitore di Obama e un feroce oppositore della presidenza Trump e nei mesi scorsi ha condannato duramente l’invasione russa in Ucraina, paragonando il presidente russo Vladimir Putin a Hitler.

Definiva la moglie, Siri Ustevedt, scrittrice e studiosa di psicoanalisi, con cui viveva a Brooklyn dal 1981 e da cui ha avuto la figlia Sophie, «una delle migliori menti» che avesse conosciuto: «È lei l’intellettuale della famiglia, non io, e tutto so che di Lacan e Bachtin, l’ho imparato direttamente da lei» confessò a I. B. Siegumfeldt nel libro intervista Una vita in parole. Autore di diciotto romanzi e cinque libri autobiografici, negli anni Novanta Auster ha dato voce alla sua passione per il cinema scrivendo e dirigendo due film insieme a Wayne Wang, Smoke e Blue in the Face, a cui sono seguiti Lulu on the Bridge e La vita interiore di Martin Frost nel 2007.

Lo stile e i temi

Nei romanzi di Paul Auster, baciati da una scrittura in stato di grazia, è dominante il senso di alienazione e straniamento dei personaggi, l’identità individuale appare come una condizione fluida legata anche alla precarietà dell’esistenza, mentre la memoria è sempre qualcosa che va al di là della pura esperienza personale: «Non è tanto la storia mia che mi interessa, ma usare le mie esperienze per pormi delle domande a proposito del mondo» aveva spiegato a «la Lettura» conversando con l’amico David Grossman. Auster ha spesso giocato nei suoi romanzi con l’io narrativo e l’io reale, come in Città di vetro dove lo scrittore di gialli Daniel Quinn «perduto non solo nella città ma anche dentro di sé» una notte riceve la telefonata di qualcuno che cerca Paul Auster. O come ha fatto nell’audace 4321, romanzo ancora una volta capace di frantumare il concetto stesso di identità raccontando in quattro maniere diverse le quattro vite possibili, eppure reali, di Archie Ferguson. Quattro trame che procedono in parallelo e in cui, a seconda delle versioni, i protagonisti sono buoni o cattivi, ricchi o poveri.

L’ultimo libro

Nel 2021, dopo anni di studio e ricerche, aveva pubblicato Ragazzo in fiamme (pubblicato in Italia, come tutti i libri di Auster da Einaudi), una vita esemplare che arriva dritto dall’Ottocento: quella di Stephen Crane (1871-1900). In oltre mille pagine Auster racconta la breve parabola di uno scrittore dimenticato, l’autore di Il segno rosso del coraggio, morto di tubercolosi a 28 anni nel 1900: «Più sono riuscito a conoscerlo, più l’ho sentito come un altro personaggio dei miei romanzi» aveva detto. La morte, e il lutto, è stato il tema dell’ultimo scritto di Auster intitolato Baumgartner, dal cognome del protagonista Seymour Baumgartner, professore settantenne che non trova pace dopo la perdita della moglie Anna. Un libro breve, dal tratto intimo, una riflessione sulla vecchiaia, capace di mescolare ironia e tenerezza.

1 maggio 2024 (modifica il 1 maggio 2024 | 18:27)