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Talento e bugie. Il caso Maionchi - Ferro: “Oggi non è più un rischio se un artista fa coming out”

Talento e bugie. Il caso Maionchi - Ferro: “Oggi non è più un rischio se un artista fa coming out”
I discografici: negli anni Novanta i contratti obbligavano a tacere. Mario Venuti: “Chi parla, aiuta i ragazzi a sentirsi meno soli”
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Oscar Wilde diceva che quando si dice la verità, si è sicuri prima o poi di essere scoperti. Lo scambio di battute tra Mara Maionchi e Tiziano Ferro contiene in sé molti temi sensibili. Lei (che lo scoprì, a suo tempo) nell’intervista a Belve lo accusa di ingratitudine, lui replica — stupefatto — negando, poi un sito rispolvera gli inizi e parla di condizioni che la manager gli avrebbe imposto poiché necessarie alla “costruzione” di una popstar: dimagrire, tanto, e nascondere l’omosessualità.

Quando il discorso scivola sull’omosessualità, dichiarata o meno, lo scenario si allarga in modo esponenziale. La pratica del coming out, soprattutto in Italia, non è così frequente, almeno rispetto ai Paesi anglosassoni. Anche se, in Gran Bretagna, per alcuni la strada è stata dolorosa: George Michael fu sostanzialmente costretto a ufficializzare il proprio orientamento sessuale dopo un arresto in flagranza in un bagno pubblico nel 1998.

Mika, ai tempi di X Factor (2013), dichiarò che «essere gay non è reato», allargando però il ragionamento al suo desiderio di paternità e alle difficoltà che questo comporta in una società non del tutto evoluta. Da noi, per decenni, essere gay nel mondo della musica è stato uno stigma: negli anni Sessanta un cantautore di talento assoluto come Umberto Bindi fu emarginato dalle scene per la sua omosessualità. Non dichiarata, ma chiacchierata. Artista schivo e molto riservato, Bindi ne parlò apertamente solo nel 1988, quando ormai la sua carriera era alle spalle.

Da allora sono stati fatti enormi passi avanti su un percorso lungo e accidentato. E il tratto da percorrere è ancora tanto. In tempi recenti, artisti come Michele Bravi, Ariete o Madame hanno raccontato, dopo percorsi personali più o meno complicati, la loro sessualità. Lo ha fatto anche Miguel Bosé, sex symbol degli anni Ottanta che ha mantenuto il “segreto” fino al 2013. Quello che venti o trenta anni fa era un tabù, oggi sembra assorbito dalla normalità.

«All’inizio degli anni Novanta c’erano artisti obbligati per contratto a non dichiarare il proprio orientamento o addirittura a dichiararsi pubblicamente single per non alienarsi il pubblico femminile — racconta Matteo Zanobini, manager di artisti come Baustelle e Brunori Sas — ma allora era più semplice tenere nascosto il privato. Soprattutto, non c’erano i social. Oggi non ci sarebbe modo di controllare così tanto un artista, le cose escono fuori. Quella che potremmo considerare una strategia di marketing non esiste più. E poi in questo contesto sociale i temi che riguardano la sessualità sono trattati con naturalezza. È una tematica sdoganata, per fortuna».

Un’idea condivisa da Mario Venuti, cantautore di fama che da tempo ha raccontato il proprio orientamento: «Non c’è un apparecchio che consenta di misurare il grado di fastidio che può provocare un coming out — spiega — ma è tutto cambiato, è un tema che di fondo non interessa più nessuno, soprattutto tra le nuove generazioni. Ovvio che esistano anche realtà meno evolute da questo punto di vista, allora il messaggio di un artista può sicuramente aiutare un ragazzo a sentirsi meno solo e avviare un percorso di consapevolezza più confortevole. Poi, certo, ognuno decide se dichiararsi o no, anche in presenza di indizi molto evidenti».

Tra cambiamenti e rivoluzioni sociali, l’omosessualità (oppure la fluidità o, ancora, la pansessualità dichiarata, tra gli altri, da Miley Cyrus), un coming out non è più un tabù, non suscita alcuno scandalo. Ma non è che in certi casi può trasformarsi in un vantaggio? «Faccio un altro pensiero — dice Emiliano Colasanti, manager di Cosmo e Colapesce Dimartino — nel mondo musicale l’abito fa il monaco, l’immagine è predominante anche se poi non aderisce più di tanto alla persona, è più un gioco estetico. Il pop punta molto su questo, specie nella scena attuale. C’è l’esigenza di definirsi, esistono tante categorie che prima non c’erano e hanno bisogno di una voce, di essere rappresentate. Per il resto, c’è stata un’epoca in cui era forte il timore che certe cose potessero non essere capite ma oggi ai ragazzi non interessa niente dell’orientamento sessuale del cantante. A volte è evidente, non c’è bisogno di renderlo pubblico. Queste cose sono intrise di normalità. E ovviamente oggi è tutto più facile».

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