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Giovanni Malagò: “La riforma Abodi sarà una figuraccia in tutto il mondo”

Andrea Abodi, 64 anni, ministro dello Sport, con Giovanni Malagò, 65 anni, presidente del Coni

Andrea Abodi, 64 anni, ministro dello Sport, con Giovanni Malagò, 65 anni, presidente del Coni

 (ansa)

Intervista al presidente del Coni: “Questa norma viene calata dall’alto per cambiare le regole del gioco. È sbagliata già dalla forma: il Coni lo ha letto su Repubblica

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«Rischiamo una figuraccia mondiale». Quando risponde al telefono Giovanni Malagò deve ancora smaltire del tutto la sorpresa per il documento di riforma presentato dal ministro per lo sport Abodi alla Figc e anticipato sabato da Repubblica. Quel testo, che il governo ha deciso di non presentare oggi in Consiglio dei ministri — per poterlo modificare, o meglio correggere — prevede la nascita di un’agenzia governativa di vigilanza e controllo economico finanziario sulle società sportive professionistiche, quindi, sulla carta, di calcio e basket.

Presidente Malagò, cosa pensa di quel documento?

«A prescindere dal fatto di sostanza, c’è un fatto di forma: il Coni ha letto quel documento su Repubblica, e poi sulle agenzie. E la bozza l’ha ottenuta solo tramite la Figc, che l’aveva ricevuta poco prima dal ministro. Mi sarei aspettato quantomeno che fosse inviata anche a noi».

Può minare il principio dell’autonomia dello sport?

«Ma prima di arrivare a questo punto, come si fa a parlare di autonomia se non c’è nemmeno il rispetto della forma? Questo è il buongiorno della storia».

Entriamo nel merito: pensa fosse necessario intervenire sul sistema dei controlli alle squadre?

«Come tutte le cose si può e, anzi, si deve cercare di migliorarle. Questa norma però non nasce per migliorare la situazione. Ma per cambiare le regole del gioco».

E voi o le federazioni coinvolte avete margini per far valere una posizione contraria?

«Leggo che ci saranno rettifiche non so quanto significative. Parola questa, significative, che si presta a varie interpretazioni».

Uefa e Fifa, che settimane fa hanno inviato diffide alla federazione spagnola dopo il commissariamento del governo, accetteranno serenamente questa ingerenza politica nel calcio italiano?

«Lo dico con molta franchezza, ho seri dubbi che questo discorso possa essere accettato dagli organismi sportivi internazionali. Quindi, quantomeno, prima di prendere qualsiasi posizione a livello normativo questo va verificato. Altrimenti si rischia la figuraccia mondiale e, purtroppo, i governi italiani non sono nuovi a situazioni simili. In passato, sono state sostenute posizioni che poi sono stati costretti a modificare. Ci eravamo già passati».

Non abbiamo parlato della tempistica della vicenda.

«Un’altra questione che taglia ogni altro ragionamento. Ed è un altro problema. Al 6 di maggio siamo nel pieno delle iscrizioni dei campionati. La Covisoc produce la sua attività, la documentazione deve essere prodotta entro il 31 maggio, perché poi entro il 30 giugno la Covisoc deve gestire le sue dinamiche».

Come si spiega questa fretta?

«Onestamente, non me la so spiegare. Un decreto legge appena viene votato è immediatamente esecutivo. Se passa, da qui al 31 maggio questa agenzia dovrebbe fare nomine, scegliere le figure ed essere immediatamente operativa. Ditemi voi».

Come metodo le ha ricordato la nascita di Sport e Salute, quando il governo tolse al Coni la cassaforte dei fondi pubblici alle federazioni?

«Come metodo sì. Tra l’altro, mi risulta che la Covisoc sia presieduta da una figura il cui nome e il cui curriculum sono una garanzia, come Germana Panzironi. Ripeto, tutto si può migliorare purché non sia calato dall’alto».

Quindi, in sintesi?

«Tutto questo fa capire il nonsenso di questa storia. Perché è paradossalmente sbagliata la forma. C’è un grosso punto interrogativo con gli organismi internazionali. E c’è questo problema di sostanza. Ma stiamo scherzando o cosa?».

Da un punto di vista di forma, cosa sarebbe stato accettabile?

«Se avessero detto “lo affrontiamo a settembre” sarebbe stato perfetto. E tutti insieme: governo, Mef, chi ha la delega allo sport, Coni, Figc, Federbasket e leghe».

E invece, nella sostanza?

«Con la recente riforma del lavoro, entrata in vigore proprio ad horas, da parte di questo governo, quello del controllo delle società sportive non è più un discorso che riguarda solo i campionati professionistici, calcio e basket. Ad esempio Paola Egonu, che gioca a pallavolo, è diventata una lavoratrice sportiva. Se c’è qualcuno che decide che una società non dovrebbe essere iscritta a un campionato o non dovrebbe essere autorizzata a continuare un campionato, questo tipo di valutazione andrebbe fatta per ogni disciplina di squadra».

A questo chi ha scritto la norma chiaramente non ha pensato.

«Se ci avessero consultato probabilmente avrebbero costruito la questione in modo diverso. E io mi permetto di dire che questo tipo di decisioni, ammesso e non concesso che siano logiche, se non vengono concordate prima, portano a situazioni non certo a favore di chi le propone. Intendo sotto il profilo del consenso».

In discussione c’è anche la legge Mulè, che vorrebbe dare al governo la possibilità di nominare due esponenti dell’esercito nella Giunta Coni.

«Mulè è un amico. Mille volte gli ho detto: tutto si può fare, ma un elemento è imprescindibile. Chi entra in giunta viene eletto dal suo mondo. I gruppi sportivi militari dovrebbero strutturare e organizzare elezioni locali a livello provinciale o regionale che portano a una dinamica elettorale. Seconda questione: chi va in Giunta rappresenta se stesso, non un terzo. Quindi se un militare entra, in quel momento non può essere più un militare, perché un militare che risponde ad altri nella Giunta il Cio non lo potrà accettare mai».

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